Oggi, un'opera musiva nella Stazione Ostiense di Roma, che celebra la storia della Romanità, è in stato di degrado e necessita di restauro per preservare il legame con il passato e promuovere la cultura greco-romana per le generazioni future.

Premessa
Roma, centro del mondo antico e matrice della nostra comune civiltà, esprime alcuni archetipi eterni a cui sempre si fa rifermento, per giovarsi di quel carattere universale che ciò che si irraggia da Roma, la città Eterna, ebbe sin dalle origini e perdura nella sua multiforme eredità. Tante sono le nozioni che si richiamano a Roma e rappresentano in modo iconico le proprie aspirazioni. Attualmente gli Stati Uniti d'America sono spesso definiti il Nuovo Impero Romano, la cui capitale Washington, richiama nelle sue architetture principali, gli stilemi di Roma antica, fatta di obelischi, colonne, timpani, e perfino nel riferirsi al suo parlamento si evoca la collina del Campidoglio romano. Anche l’Europa, quando si trattò di gettare le basi della sua unificazione politico-economica volse lo sguardo all’Urbe, e scelse nel 1957 la collina dell’antico Capitolium per la firma dei Trattati di Roma. La stessa Italia ebbe nel suo Risorgimento del XIX secolo la città fondata sul Tevere come proprio ineluttabile destino, e si preoccupò di restituire all’Urbe le dimensioni e le funzioni di una moderna capitale.
Cosa resta di Roma, passato il tempo delle conquiste e del governo del più straordinario impero dell’antichità? Sicuramente la città eterna ha trasfuso nel tempo presente un’eredità immateriale. Il suo profondo sapere giuridico. Il latino da cui derivano direttamente alcune lingue europee, e interi campi semantici delle altre lingue, tra cui l’inglese. Molti modi di dire di uso comune. Numerosissime testimonianze archeologiche: dalle domus alle architetture monumentali, come basiliche, teatri e anfiteatri, per non parlare del Pantheon perfettamente conservato. Opere di ingegneria, come gli acquedotti, le mura aureliane, la cloaca maxima. Intere città come Ostia e Pompei, che ci offrono sempre nuove scoperte archeologiche. Tutto all’insegna della fusione tra praticità ed estetica. Tra gli elementi caratteristici decorativi e funzionali delle sue splendide architetture, risulta portata ad un sublime livello di perfezione l'arte del mosaico, in particolar modo per le pavimentazioni, che vengono fatte pertanto oggetto principale della successiva trattazione.
La tradizione romana del mosaico
Il mosaico è la tecnica di assemblare tessere, policrome o in bianco e nero, in vari tipi di pietre o altro materiale come pasta vitrea e gemme, per comporre decorazioni geometriche, arabeschi o scene figurate. Inizialmente erano utilizzati per impermeabilizzare il pavimento di terra battuta, ma già alla fine dell’età repubblicana si diffusero sulle pareti dei ninfei e delle esedre (costruzioni attorno a una sorgente o una fontana), spesso rivestite anche di conchiglie. Tessere più piccole consentivano un disegno più preciso, perciò il mosaico ebbe larghissima diffusione nei grandi spazi pubblici (fori, mercati, terme, templi), e nelle domus private di lusso, ma raggiunse anche le classi medie, con realizzazioni più schematiche e grezze. Nell’esecuzione si partiva dalla scena disegnata su cartone, per poi stendere un conglomerato di ciottoli, uno strato intermedio di schegge di pietra e calce, uno strato di cemento e un sottile strato di intonaco sul quale disporre le tessere sagomate secondo le linee del disegno, impiegando diversi giorni di lavoro.
Ne sono famosissimi esempi il mosaico nilotico di Palestrina, popolato di scene naturalistiche e banchetti, quelli della Villa del Casale di Piazza Armerina, che alternano sequenze cerimoniali, di caccia e di vita quotidiana, e in molte case di Pompei (tra cui spiccano quelli della Casa del Fauno), attingendo anche dall’iconografia della mitologia greca, spesso in riquadri con cornici, colonnine, vegetazione stilizzata e amorini che davano un tono più leggero alla composizione. Questa tecnica ebbe successo anche nelle province dell’Impero e particolarmente in Africa.
Nell’arco della civiltà romana il mosaico ebbe varie evoluzioni stilistiche: andò affermandosi il bianco e nero nei pavimenti, stile “Severo”, il colore sulle pareti, miscelando a fini decorativi figure geometriche, intrecci di vegetali e meandri, e in un secondo momento uno stile “fiorito”, mentre nella tarda classicità si passò ad opere di gusto quasi “barocco”, con stoffe e nastri svolazzanti e temi complessi che denotano un raffinato virtuosismo. Spesso i soggetti tendevano ad imitare la pittura o l’architettura, raffigurando banchetti negli interni delle case, motivi marini nelle terme, animali nei mercati, atleti nelle palestre, scene dionisiache nelle mense, soggetti erotici nelle camere nuziali, ma sempre con effetti di armonia e bellezza.
Derivazioni successive
La tradizione musiva viene ereditata dalla Roma d’Oriente, Costantinopoli, per decorare le chiese, adattandola al tema religioso con caratteristiche nuove e lontane dai modelli classici, come il fondo oro che conferisce astrazione e sacralità alle opere, e la ritrattistica sia ufficiale che privata. Ne sono fulgidi esempi i mosaici di San Vitale, Sant’Apollinare e del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna.
Nel Rinascimento l’esempio di Roma antica è esplicitamente coltivato anche a livello filologico, mentre l’arte del mosaico, altamente considerata, viene spesso utilizzata per il rifacimento di affreschi che si desidera eternare col materiale più nobile delle tessere in pietra rispetto alla semplice pittura.
Bisogna quindi attendere il Risorgimento e il Regno d’Italia per assistere al recupero dell’antico stile “Severo” dei mosaici bicromi, impiegati per uso pavimentale, con realizzazioni sorprendentemente simili, talvolta anche nei soggetti raffigurati, a quelle degli antichi romani. Più in particolare negli anni ‘30 del XX secolo, nel contesto dell’architettura razionalista, ispirata a concretezza e funzionalità, il mosaico viene ripreso, insieme all’affresco e al bassorilievo, come strumento simbolico di un’estetica classicheggiante, specialmente su scala monumentale, per riallacciarsi al retaggio dell’antico. Riappare quindi nei saloni dei nuovi edifici pubblici e di rappresentanza, in una forma tutta votata alla comunicatività, con figure sintetiche ed essenziali, all’interno di cicli narrativi su avvenimenti sia contemporanei che del passato, per esaltare la palingenesi e l’uomo come protagonista della Storia
La storia di Roma diventa un mosaico
Tra queste opere si segnala la pavimentazione del portico di accesso della Stazione Ostiense di Roma, che intende celebrare nell’iconico stile “Severo” il ciclo della Romanità, dagli albori all’apogeo imperiale (con tanto di canonica mappa della sua massima estensione) fino al Rinascimento, di cui appare il colonnato e la basilica di San Pietro stilizzata, concludendo con un’ultima immagine relativa al trionfo del superuomo, ispirata alle filosofie nietzschiane allora in voga. Le figure allegoriche in tessere nere, disegnate da Giulio Rosso e Maria Zaffuto, su uno sfondo di tessere di ceramica bianche, sono in tutto undici e tra navi sul mare tra i pesci, aquile, labari al vento, cavalli al galoppo, riproducono anche lo stemma pontificio retto da due angeli.
Al di là della pretesa ideale, sottesa a questa operazione propagandistica di collegamento con l’antecedente imperiale antico (mediata dalla “reggenza” papale esplicitamente raffigurata nella sequenza cronologica delle immagini) che esula dall’analisi di un prodotto culturale, va detto come fatto oggettivo che il cambio di regime avvenuto in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale ha purtroppo confinato nell’oblio quest’opera d’arte, di indubbio valore storico e artistico, la cui valutazione merita di essere distinta dal giudizio sulla coeva esperienza politica. Essa versa in un pessimo stato di conservazione, e neppure ne è previsto il restauro. Si è pertanto previsto di proporre per il bando EXPANDERE CONSCIENTIAE LUMEN (di cui questa associazione condivide l’obiettivo di proteggere, restaurare e promuovere la cultura greco-romana per garantirne la conservazione per le generazioni future) il ripristino delle tessere mancanti, in particolare per l’immagine relativa alla trireme contornata da pesci.
Conclusione
L’opera da salvare dall’ulteriore degrado, attualmente dimenticata dalle istituzioni e ignorata dai passeggeri che vanno e vengono, è di particolare valore per molteplici ragioni: sia per la collocazione, all’interno di una delle più importanti stazioni ferroviarie romane, che la rende facilmente fruibile a tutti; sia per essere realizzata con una tecnica in uso fin dall’antichità, creando un legame ideale tra culture a secoli di distanza; sia infine per offrirsi essa stessa, nella successione di scene rappresentate, come un paradigma di Roma dall’antichità ad un ipotetico futuro. Se restituita a una lettura corretta e pienamente fruibile essa farà senz’altro da volano per la riscoperta della più ampia tradizione musiva di Roma. Non lontano dal portico si attestano infatti anche i treni che conducono agli scavi di Ostia Antica, dove si conservano con più adeguata manutenzione gli originali che hanno ispirato questi mosaici.
Aggiungi commento
Commenti